Caro 2020
Caro 2020,
ora che te ne sei andato, posso guardarti nella tua interezza e parlarti chiaramente.
Ammetto che a livello superficiale, specie nelle ultime battute, ho cavalcato anche io l’onda del lamento che tu sia stato un anno infausto (diciamo pure di merda). Immagino che tu non ti sia offeso, probabilmente era un rischio calcolato. Decidere di fare l’anno 2020 è un po’ come decidere di incarnarsi in uno scarafaggio, mica puoi pretendere che gli umani ti apprezzino o, quantomeno, che possano trovare degli aspetti positivi al tuo passaggio!
A parte ciò, voglio che tu sappia che ti sono molto grata. Sì, hai letto bene, gratitudine.
Sei stato un tempo ostico, severo, pesante e ci hai messo tutti a dura prova. Per questo la nostra mente di piccole macchine umane ti ha subito classificato come “male” e “brutto”, perchè all’umano medio in realtà scoccia moltissimo mettersi veramente in gioco. Sono (quasi) tutti capaci di invocare il cambiamento, ma quando poi ci si trova con le spalle al muro di fronte alla ineluttabilità del cambiamento e all’assoluta necessità di una radicale trasformazione, eccoli risentiti e indispettiti come bambini a cui viene tolto il loro giocattolo preferito.
Ci hai imposto una vertiginosa impennata nella direzione del nostro percorso di vita. Chi era già dedito alla Vita, ne ha sentito in modo incontrovertibile l’ennesimo richiamo, a voce altissima e chiarissima. Chi precedentemente vivacchiava, occupandosi poco più che della propria (e dei propri cari) sopravvivenza biologica e meccanica sotto l’effetto dell’ipnosi collettiva, oggi è morto. Non ancora nell’anatomia, in molti casi, ma il fenomeno dei cadaveri ambulanti, grazie a te, è divenuto oggi visibile anche agli occhi fisici, mentre fino a qualche tempo fa era necessario affidarsi all’occhio che vede l’invisibile.
I morti viventi sono quindi più manifesti, ma è anche vero il contrario. Chi è acceso dalla fiamma di Vita, oggi risplende, arde e brucia ancor più di prima, perchè ha avuto l’occasione di rinnovare l’intimo sodalizio col fuoco dell’Esistenza.
La mente pensante è una scatola fredda, ci può contenere e definire. Più si restringono i suoi confini, più ci facciamo piccoli nel volerci stare dentro. E quando fattori esterni (ancor più se preposti a tal scopo) rimpiccioliscono via via sempre più la misura della scatola, si finisce per adattarsi a un habitat che è la negazione della Vita stessa. Paura, anzi terrore, bisogno di sicurezze e di approvazione appartengono alla scatola, non alla Natura di cui facciamo parte. Nessuna pianta rinuncerebbe a vivere per la paura di non fiorire come piacerebbe a lei o alle piante circostanti.
Tuttavia, dietro la gelida scatola raziocinante arde la fiamma vitale, che nulla nega e tutto include, compresa la morte, la quale è parte integrante della Vita. Allora le scelte non sono più dettate da condizioni (nè mie, nè altrui), ma diventano semplicemente un lasciare che quel soffio vitale ci attraversi e si esprima tramite noi.
Pertanto, grazie caro 2020, per la tua opera di profonda accelerazione, poichè abbiamo visto accadere in pochi mesi ciò che in tempi “normali” probabilmente avrebbe richiesto parecchi anni.
Il processo sociale collettivo ha ovviamente inciso sulla situazione personale di ciascuno di noi. In un modo o nell’altro hai dato a tutti la possibilità di dover fare i conti con se stessi e con gli altri, che in realtà sono altri “me stesso”. Così, mentre la gente dentro rosica per le questioni irrisolte tra sè e sè, fuori si scaraventa sull’altro per le divergenti paure, idee, convinzioni, azioni. In realtà è ciò che è sempre accaduto, solo che tu hai acceso mille fari su queste dinamiche rendendole massimamente evidenti. Chi invece ha saputo vedere che la questione, prima di essere “tra me e l’altro” è soprattutto “tra me e me”, ha avuto un grande mare in tempesta da navigare in una lunga notte di burrasca, ma forse ora c’è qualche navigante della Vita un poco più autenticamente vivo e più capace di affrontare il mare degli eventi.
Per quanto mi riguarda, mio caro 2020, confesso che l’inizio di tutta questa storia mi ha colta impreparata, soprattutto nella velocità dei tempi e il verificarsi di passaggi epocali che pensavo (forse speravo) richiedessero processi più lunghi e lenti. Sicchè ammetto di essermi fatta una durissima primavera infilata in una lavatrice in centrifuga a un milione di giri, nonostante fossi inchiodata h24 nello spazio della mia casa d’abitazione. Nondimeno, anche di questo ti voglio ringraziare. E’ stato un incontro all’ultimo brandello di carne sanguinante con la Kali che mi abita da sempre e che finalmente ha potuto esprimersi in tutta la sua meravigliosa forza trasformatrice. Quando ti concedi di bruciare sulla pira di te stesso, con assoluta onestà e pulizia d’animo, ti rimane solo il senso di sacro che l’acre odore del fumo lascia nell’aria. E dolce si rivela la raccolta delle ceneri.
Chissà se si tratterà, poi, di far rinascere l’Araba Fenice da tali ceneri…
Ancora, caro 2020, porta pazienza ma non ho finito coi ringraziamenti. Ti devo gratitudine per avermi consentito di fare scelte importanti, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, ascoltandomi intimamente e nella più assoluta trasparenza con me stessa, nelle piccole come nelle grandi occasioni. Scegliere se e come muovermi, dentro e fuori di me. Scegliere fino a che punto stare alle regole del gioco, lo stesso gioco di sempre ma con imposizioni decisamente più restrittive e oltraggiose nei confronti della condizione umana. Scegliere a cosa dire “Sì” e a cosa dire “No” nel rispetto di me stessa, dell’altro, ma soprattutto di quel Respiro che mi sta respirando. Lasciare che emerga la parola, il gesto, l’azione giusta, ossia quella che mi consenta di sentirmi quanto più aderente possibile a ciò che sento vero. Non buono, non cattivo, non bello, non brutto. Vero, in questo preciso momento, vero per me.
Un prezioso allenamento, duro e implacabile, ma indispensabile e salvifico in questi tempi ammalati di falsità.
Infine, caro 2020, lasciami dire che ti va riconosciuta la grandissima qualità di aver fatto cadere in tempi ristrettissimi tante maschere, nelle micro come nelle macro circostanze. Ho visto porte aperte chiudersi e porte chiuse aprirsi, ho visto finzioni crollare miseramente, ruoli cadere, recite interrompersi per l’insostenibile compressione ed altre menzogne crescere a dismisura fino a diventare inverosimili e screditarsi da sole.
Ho visto la tenerezza vincere sulla durezza, la delicatezza scansare la grossolanità e la sensibilità eliminare ogni forma di distanza.
Ho sentito e onorato la vulnerabilità, la mia e quella di coloro che hanno sentito di potersi spogliare del bisogno di apparire infallibili. E ho riconosciuto il valore che risiede nel saper abitare la possibilità di essere imperfetti, tremendamente fragili e nullasapienti. Per scoprire che c’è molta più forza nel saper accogliere le proprie vulnerabilità, anzichè fare di tutto per negarle. C’è molta più consapevolezza nell’ammettere di non sapere. C’è molta più presenza in un’assenza piena di volontà piuttosto che esserci sulla scia di un bisogno. C’è molto più amore quando non è necessario indaffararsi per dimostrarlo. C’è molta più vittoria nella resa totale.
Concludo, caro 2020, dicendoti che ti ricorderò nella storia della mia vita per quel sapore dolceamaro che sempre accompagna le grandi catarsi, quelle che segnano le epoche, come è certo che stia accadendo ora.
Tu hai lasciato entrare il 2021, verso il quale tante aspettative umane sono riposte
Dunque, caro 2021, io non ho nulla da chiederti. Il rituale dei desideri di inizio anno mi pare ora ancora più patetico e puerile del solito. Posso solo stare qui, faccia a faccia con te, un tempo folle e così surreale da facilitare la consapevolezza che è tutto un grande gioco.
Un occhio al cielo e un alla terra, un occhio al tempo e l’altro all’infinito, le mani giunte e le braccia aperte, un calendario da vivere istante per istante.
Roberta Pagliani