Arunachala - Roberta Pagliani - Yoga Consapevolezza e Gioia

Sassolini sotto i piedi

Eccomi in India a “ricaricare le pile dell’anima”.
Mi trovo in uno dei miei luoghi preferiti, la Sacra collina di Arunachala. Un angolo di mondo semplice e assolutamente anonimo, ad occhi profani. Chi non conosce la storia di questo posto e non è connesso con l’Energia della Vita, arrivando qui facilmente si potrebbe chiedere cosa mai c’è di speciale in questa montagna, che appare come tante altre.
Ma chi sente, non può non sentire le potenti vibrazioni di questo luogo.
E chi conosce questa Montagna non può non onorarla.
E ogni volta che si viene qui, accade qualcosa. Qualcosa Accade.

Per l’Advaita-Vedanta questo luogo è riconducibile a Sri Ramana Maharshi, la cui presenza è viva e distintamente palpabile, nonostante Egli abbia lasciato il mondo delle forme da diversi decenni.

Come spesso accade in India, ci sono diversi rituali che si possono osservare e praticare qui.
Personalmente, non li considero tutti importanti, ma devo dire che è grazie a questi viaggi che ho riallacciato nella mia vita il contatto col Sacro, che la mente occidentale ha dimenticato e insabbiato sotto una coltre di pensieri logico-funzionali.
Il valore di fare qualcosa semplicemente per farla, come una dedica alla Vita, senza un fine, senza un obiettivo o un risultato da ottenere. Sentire che puoi essere totalmente in quel gesto, qualunque esso sia. In questo modo anche la tua vita quotidiana può diventare la tua preghiera, il tuo rituale.

Tra i rituali che amo particolarmente, c’è quello della Pradakshina, ossia la circumambulazione della collina (il giro completo intono ad essa), circa 14 km a piedi, ovviamente scalzi. Se ne parla già negli antichi testi vedici in riferimento alla possibilità di conferire a chi la pratica “il più alto stato di Liberazione”.
Lo stesso Ramana Maharshi parlò di Arunachala come di un “Oceano di Grazia” e disse della Pradakshina:
The true significance of the act of going round Arunachala is said to be as effective as a circuit round the world. That means that the whole world is condensed into the Hill.”
Sicché girare intorno alla collina equivale a girare intorno al mondo, poiché l’intero mondo è condensato in questa collina.

Ogni volta che vengo qui ci tengo a partecipare alla GiriPradakshina, ossia la Pradakshina fatta in corrispondenza della luna piena, in mezzo al fiume umano che partecipa ogni mese a questo evento. In pieno stile indiano, gente di ogni sorta e colore in una mescolanza di sacro e profano, di silenzio e confusione, il tutto sotto l’amorevole sguardo argenteo della luna e la montagna sempre alla propria destra. E’ sempre un’emozione speciale farsi trasportare da quella corrente umana, lasciare che i sensi siano invasi, sentire che è possibile abbracciare il mondo nella sua molteplicità d’espressione e al contempo percepire la corrente sottostante, o sovrastante, di ciò che è Infinito e si manifesta nel finito, restando testimone di tutto questo.
Un giro intorno al mondo, è proprio vero!

Ricordo che la prima volta che mi parlarono di questo rito, la mia mente “spiritualmente occidentalizzata” si era fatta l’idea di un percorso sacro, di quelli immersi nella natura e nel silenzio, una sorta di meditazione zen, perché debba essere chiaro che si sta meditando.
Rimasi invece stupita (e pure con un retrogusto di delusione) nello scoprire che si tratta della strada abitualmente percorsa dalle auto, di cui gli ultimi km totalmente immersi nel caos cittadino indiano (e chi è stato in India sa di cosa sto parlando!) che si direbbe non avere nulla a che spartire con la sacralità.
“Tipiche contraddizioni all’indiana”, pensai.

Quest’anno ho voluto festeggiare il mio Natale facendo la Pradakshina.
Non quella “ufficiale” della luna piena (che sarà il primo gennaio), semplicemente un mio personale rito, una dedica alla Vita.

Con alcuni amici, ma in modo molto intimo e rispettoso, siamo partiti a sera inoltrata.
Piedi nudi e Amore. Nient’altro.

Non so come siano 14 km a piedi scalzi in Italia, francamente mi manca questa esperienza. Ma so che 14 km In India, intorno a questa collina, sono ricchi di tutto un po’.
Una pratica di meditazione urbana e spesso caotica.
Quest’anno l’inizio del percorso è più facile, perché è stato predisposto un marciapiede di pietre lisce che la pianta dei piedi gradisce moltissimo in queste circostanze. Ma non ci si può permettere di sollevare lo sguardo da terra poiché a quell’ora ci sono i sadhu già “a letto”, vale a dire raccolti sotto le loro copertine, lungo le strade e i marciapiedi. E’ dunque necessario muoversi con cautela, prestare attenzione e avere cura di non pestare qualcosa o qualcuno.
I primi km sono piacevoli, se si hanno occhi per Vedere, si possono cogliere piccoli particolari ricolmi di Bellezza e di Vita. Camminiamo sotto la Shiva Moon, una abbondante mezza luna sorridente.
Quando finisce il marciapiede non rimane che l’asfalto della strada indiana. E qui la cosa si fa piuttosto divertente… Spesso i bordi della strada sono polverosi, o non perfettamente asfaltati. L’asfalto è ruvido e sovente con buchi e sporgenze e, soprattutto, ovunque piccoli e appuntiti sassolini.
Quando non sei un sadhu indiano e cammini da ore a piedi nudi su una superficie di questo tipo, il sassolino che ti si conficca nell’angolino del piede, ti muove una certa emotività…!
I piedi diventano talmente sensibili che a tratti hai l’impressione di essere un fachiro che cammina sugli spilli.
Qualcuno avrebbe potuto chiedermi in quei momenti: “Perché lo fai?”
Io avrei risposto: “Non so perché, ma lo faccio.”
Si arriva in città e ci si trova immersi nel traffico, dove è necessario fare attenzione a non essere investiti da un autobus lanciato nella notte a velocità massima o da un camion in una strettoia, il tutto sempre con la massima cura a dove si appoggiano i piedi, i quali ora sono talmente dolenti che ogni passo mal riposto potrebbe essere deleterio.

A questo punto si affaccia una precisa consapevolezza: la possibilità di scegliere.
Puoi fermarti ad osservare questa situazione ritenendola tutt’altro che sacra, giudicare ciò che vedi e senti, pensare che camminare sul marciapiede è meglio che camminare sull’asfalto ruvido e odiare ogni singolo sassolino che s’infila sotto il tuo piede. Puoi affannarti nel cercare di non uscire mai dal marciapiede, la via comoda, restare nella zona di comfort quanto più possibile evitando il dolore dei sassolini e il fastidio del traffico.
Ma in tal caso non avrai fatto tutto il giro della montagna. L’avrai vissuta solo a metà.
E la Montagna è il mondo.
In effetti, così funziona la nostra esistenza, nella maggior parte dei casi. Una gran fatica per opporsi al dolore, rifuggire i fastidi e non assumersi la responsabilità di girarla fino in fondo, la montagna della vita.
Il nostro esistere in qualità di esseri umani ci conduce inevitabilmente in una dimensione per sua natura duale, fatta di “bene” e “male”. Rincorrere il piacere ed eludere il dispiacere è un’attitudine della mente umana, che ritiene una cosa migliore dell’altra.
Tuttavia, camminando sui sassolini, nel traffico, puoi accorgerti che dietro quel dis-piacere, c’è lo stesso spazio di Gioia che accompagna la passeggiata piacevole sul marciapiede.
E l’attenzione che ti è chiesta per non finire sotto un autobus impazzito, è la stessa amorevole cura che ti è chiesta per non pestare un sadhu che dorme. E’ la stessa Vita. Lo stesso Amore.
E’ solo la mente che classifica una cosa meglio dell’altra.
La Montagna non distingue i primi chilometri dagli ultimi, li include tutti.
E assiste immutabile all’uno e all’altro aspetto, che sono solo diverse espressioni della sua stessa energia.
Questa è la scelta possibile: farsi Montagna. Essere Vita.

“Sulla via del Tempio
si deve sopportare molta polvere e sporcizia” (Morya)

E’ più sacro un cammino nel silenzio disinfettato da ogni impurità o un cammino che non si sottrae all’impurità, ne riconosce la presenza, il significato, il valore e onora la sacralità che vi sta dietro e oltre?
E’ più meditazione quella praticata a gambe incrociate e le mani sulle cosce, visualizzando il terzo occhio e recitando un mantra, oppure quella del tenere accesa la consapevolezza di ciò che sei mentre fai ciò che devi fare, adesso, in questo istante?
La Vita è quella cosa che inizierà quando saranno finiti i nostri problemi oppure è esattamente ciò che risiede in quelli che noi consideriamo i nostri problemi?

E se smettessimo di fare resistenza ai sassolini sotto i piedi, accettandoli come parte del percorso e ringraziando la Collina anche di questo, riconoscendo l’esperienza del dolore ai piedi ma non lasciandole oscurare lo scopo del nostro girare intorno alla Sacra Montagna?
E se così potesse essere col mondo che ci circonda e attorno a cui stiamo ruotando?
Cosa ne sarebbe delle nostre avversioni se non fossero più avverse?
E dei nostri dolori se smettessimo di considerarli problemi?
E dei nostri problemi se non incontrassero più resistenza in noi?

Infine il giro si conclude.
La destinazione è il punto di partenza, ma tu non sei lo stesso che è partito.
Tutto potrebbe sembrare uguale, ma tutto è diverso.
E comprendi che ogni passo doveva essere proprio come è stato.
Ogni benedizione e ogni sassolino.
E rimane solo un senso di sincera Gratitudine.

Guardo il cielo immobile sopra di me e sorge un pensiero.
Forse potremmo fare della nostra vita la nostra Pradakshina: nient’altro che un giro intorno al mondo, senza esserne schiavi né padroni, solo pura Presenza Consapevole che respira.

Roberta Pagliani